Sunday, June 01, 2008

MESSI A MORTE IN NOME DI ANTICHE MEDICINE O PER LA GOLA





Alcune specie di animali, ahimé, è come se fossero ad Alcatraz, nella camera della morte, condannati a sparire irrimediabilmente nel prossimo secolo, addirittura nei primi decenni. Il bello è che non sono a rischio di estinzione a causa della tecnologia, come succede spesso, ma, per ragioni quasi incredibili, messi a morte in nome di antiche medicine tradizionali, senza alcuna base scientifica, e quindi per niente.

Cacciati per la farmacopea cinese, oppure per ragioni gastronomiche, per golosità. Il povero rinoceronte viene ucciso in forza di una leggenda: quella che il suo corno, ridotto in polvere, curi diverse malattie, e anche l'impotenza: sono tutte fanfaluche, ma davvero micidiali. I bracconieri vedono l'eventualità di grossi guadagni, e non esitano a decimare il contingente, ormai ridotto al minimo, del nostro pacifico bestione. Lo stesso, ahimé, succede per la tigre, che è la sorgente di tanti presunti farmaci: il grasso e le ossa macinate curerebbero l'impotenza, i reumatismi, i tumori, e che altro. Tutte favole si capisce, ma che si mutano in colpi di fucile.

Morire per niente, o per dei sogni che, per dir così, muoiono all'alba, questo è il triste destino del rinoceronte e della tigre. Ho parlato del rinoceronte e della tigre che, ahimé, ci accompagneranno solo per poco nel Duemila, e dobbiamo prepararci a inviare loro un lungo addio. Ma ci sono degli altri animali, di ben più piccola stazza, che stanno rischiando l'estinzione. Questa volta non per cause farmacologiche, ma gastronomiche. Parlo delle rane. Prima che le rane uscissero dal mare, nessuno aveva mai cantato nel mondo. Certo, gli insetti facevano baccano, ma si trattava non di canti, bensì dello stridio di pezzi corporei duri che si deformavano, o sfregavano l'uno contro l'altro.

Il canto delle rane, è un canto vero e proprio, e il silenzio del mondo, quando loro hanno cominciato a cantare, ha conosciuto un nuovo rumore, quello che i tenori delle nostra specie trasformeranno in arte, e in emozione per tutti noi. Buon Dio, le rane si stanno estinguendo sul pianeta. I pesticidi sparsi nei corsi d'acqua, il buco dell'ozono attraverso il quale piovono i raggi ultravioletti, che ustionano le loro pelli delicate, le autostrade dove i tir le schiacciano a migliaia quando le bestiole migrano dai luoghi di svernamento a quelli di riproduzione. E per ultimo la golosità le hanno poste a rischio di sopravvivenza. Una golosità perversa e di sicuro antica.

Durante la caccia al bisonte, nelle praterie del Far-West, si abbattevano dei bestioni di una tonnellata per mangiare soltanto la loro lingua, così, attualmente, gli ignobili ghiottoni del nostro tempo, prediligono le cosce di rana. Queste coscette sono particolarmente sviluppate perché servono alla rana per compiere dei salti, talora spettacolari, ragion per cui sono polpose, e purtroppo di gradevole sapore.

In primavera, quando dopo molte peripezie, le rane arrivano negli stagni per deporre le uova, i cacciatori al servizio della nostra gola, le raccolgono in massa, spesso anche quelle agganciate in un abbraccio amoroso, e tagliano, con le forbici, le zampe posteriori, lasciando, così le poverette, mutilate, a perire dopo una lunga agonia. Sparite, o quasi, da noi, nei paesi in via di sviluppo, prima il Bangladesh, le catturano in massa, e ce le inviano surgelate. Ogni anno centocinquanta milioni di rane o per meglio dire di cosce congelate di rana, giungono in Europa per essere messe in tavola. Mangiatori di rane di tutto il mondo, non vi vergognate? Spero che le cosce di rana vi diventino, ora che sapete delle povere bestiole mutilate, molto indigeste

Giorgio Celli
Fonte: http://animali.tiscali.it/
Link: http://animali.tiscali.it/celli/articoli/2008/maggio/animali_uccisi_123.html
8.05.08

Tuesday, December 11, 2007

I FILOSOFI E GLI ANIMALI: I RAGNI DI SPINOZA E LE MOSCHE DI LEIBNIZ







È strano, ma invano si cercherebbe qualche riga dedicata alla compassione per gli animali nella maggior parte dei volumi dedicati ai problemi dell'etica dai filosofi dell'Occidente moderno. Eppure si sono occupati del rapporto fra l'uomo e l'animale, ma sbrigativamente e con una insensibilità che lascia senza parole: come nel caso di Cartesio e anche in quello di Spinoza.

L'idea che gli animali, questi nostri fratelli minori, siano anch'essi soggetti di diritti, sembra non aver neppure sfiorato la mente della maggior parte di essi; e, quanto alle sofferenze che vengono inflitte agli animali dagli esseri umani, si tratta di cosa ovvia e perfettamente naturale, che potrebbe destare commozione solo in qualche animuccia un po' femminea. Ad ogni modo, tale riflessione non dovrebbe turbare minimamente i sonni di coloro i quali fanno professione di filosofia, ossia di esercizio razionale del pensiero. Con qualche eccezione, magari (per esempio, quella di Montaigne); ma è certo che la cosiddetta "rivoluzione scientifica" del XVII secolo nasce appunto da una totale esclusione degli animali dalla sfera dell'etica.

Un esempio caratteristico di tale punto di vista, che non si dà neanche la pena di giustificarsi teoricamente, si trova nella "favola dei suoni" di Galilei che, ne Il Saggiatore, descrive la vivisezione di una cicala compiuta a scopo scientifico, senza che la sofferenza e la morte inflitte all'animale vengano prese in considerazione da un punto di vista etico.

"…quando, dico, ei credeva di aver veduto il tutto [circa l'origine dei suoni naturali e artificiali] trovossi più che mai rinvolto nell'ignoranza e nello stupore nel capitargli in mano una cicala, e che né per serrarle la bocca né per fermarle l'ali poteva né pur diminuire il suo altissimo stridore, né le vedeva muovere squamme né altra parte, e che finalmente, alzandole il casso del petto, e vedendovi sotto alcune cartilagini dure ma sottili e credendo che lo strepito derivasse dallo scuoter di quelle, si ridusse a romperle per farla chetare, e che tutto fu in vano, sin che, spingendo l'ago più a dentro, non le tolse, trafiggendola, colla voce la vita, s^ che né anco poté accertarsi se il canto derivava da quelle."

Nell'antichità, a dire il vero, filosofi come Plutarco di Cheronea avevano ammonito che l'uomo deve agli animali un atteggiamento non solo di pietà, ma anche di giustizia (cfr, l'ampia antologia a cura di Ginto Ditadi I filosofi e gli animali, Este-Padova, Casa Editrice Isonomia, 1994, 2 voll.), da cui derivava, fra l'altro, la necessità di adottare una dieta vegetariana.

Dal canto suo, Teofrasto aveva affermato, in un'opera intitolata Della pietà e di cui sono pervenuti solo alcuni frammenti, che anche gli animali sono dotati di anima, che nelle loro vene scorre il sangue come nelle nostre e che il cielo e la terra sono i loro genitori, così come lo sono per noi; e che essi meritano, quindi, il massimo rispetto (frammento X, 25, 3-4; edizione a cura di G. Ditadi, Isonomia, 2005, pp. 261-265)

"Similmente riteniamo che tutti gli uomini, ma anche tutti gli animali, sono della stessa stirpe originaria, perché i principi dei loro corpi sono per natura gli stessi (…) e ancor più perché l'anima che è in loro non è diversa per natura in rapporto agli appetito, ai movimenti di collera, ai ragionamenti e soprattutto alle sensazioni. Come per i copri, certi animali hanno l'anima più o meno perfetta; ma per tutti i viventi i principi sono per natura gli stesi. La parentela delle affezioni lo prova. Se ciò che si dice dell'origine dei costumi è vero, tutte le specie sono intelligenti, ma esse differiscono per l'educazione e per la composizione del miscuglio dei primi elementi. Sotto tutti i rapporti, dunque, la razza degli altri animali ci è apparentata ed è la stessa della nostra; poiché i mezzi di sussistenza sono gli stessi per tutti, come l'aria che respiriamo, secondo Euripide, e un sangue rosso scorre in tutti gli animali e tutti mostrano d'avere in comune, per padre il Cielo e per madre la Terra."

Ma le loro voci finirono per essere dimenticate.

Anzi, una delle caratteristiche della scienza moderna è proprio l'atteggiamento di pura e semplice manipolazione nei confronti degli altri esseri viventi; nonché di quegli esseri umani che siano percepiti come estranei al consorzio civile. Lo psichiatra Cerletti, ad esempio, nella prima metà del Novecento sperimentò la pratica dell'elettroshock dapprima sugli animali condotti al macello, indi sui detenuti delle patrie carceri.

Non certo minore fu la disinvoltura con la quale i "selvaggi" delle culture extra-europee vennero sterminati e poi relegati nei musei di antropologia, quali rarità o curiosità per il pubblico occidentale.

A proposito dello sterminio dei Tasmaniani e della sorte toccata all'ultima rappresentante della loro stirpe, imbalsamata ed esposta, appunto, dietro un a teca di cristallo del museo di Hobart, il filosofo e viaggiatore Vittorio Beonio_Brocchieri ha scritto una pagina altamente significativa nel suo libro Il Marcopolo (Milano, Matello Editore, 1952, pp. 79-82), che qui riportiamo.

"Vorrei leggere una storia dettata dai cannibali: aver in mano una cronaca delle espansioni coloniali scritta non dai conquistatori, ma dai conquistati. Apparirebbe allora il rovescio della medaglia.

"A queste cose pensavo stasera, mentre i miei occhi indugiavano dinanzi alle linee frammentarie di una non velata figura femminile, qui nel museo di Hobart, capitale della Tasmania. È la spoglia imbalsamata di una donna indigena; la sua data di nascita risale ai primi dell'Ottocento. (…)

"I bianchi, arraffando l'isola, trovarono accoglienza riluttante, perché i nativi reagivano con atti di brigantaggio e pirateria. Quindi il dilemma: noi o loro.

"Premesso dunque che per occupare la Tasmania bisognava sopprimere i legittimi abitanti della medesima, fu deciso un massacro totalitario con un metodo originale, che si chiamò black line, linea nera. Si costituì cioè una specie di cordone militare; questo doveva avanzare progressivamente per linea frontale, come un enorme rastrello da un capo all'altro dell'isola, superando forre, burroni e boscaglie; così da ridurre gli indigeni a una ritirata progressiva, che sarebbe terminata con un bagno di mare, in bocca ai pescicani. La caccia al negro cominciò. «I feriti venivano bruciati; i bambini gettati nelle fiamme; e i bracieri, intorno ai quali i nativi usavano bivaccare, divenivano i loro roghi funerari». Così (testualmente) lo storico West: (…)


Tutti gli epigoni della stirpe autoctona, sradicati e trasportati nell'isola di Flanders, si estinsero in capo a pochi decenni: fame, abbandono, malattie. Questa donna sopravvisse, ultima della sua gente, fino al 1876. La sua spoglia imbalsamata, come dicevo, si conserva qui in un museo di Hobart: essa è ridotta a linee piuttosto frammentarie. Ma io devo molta riconoscenza a questa mummia perché, inducendomi a ripescare nelle citate pagine dello storiografo West le cronache del passato, mi ha offerto preziosa compagnia nelle lunghe vigilie di questo viaggio antartico."

Non erano pochi, del resto, i bianchi avevano messo in dubbio, fin dall'epoca dei viaggi di Cristoforo Colombo, il fatto che i "selvaggi" fossero realmente creature umane dotate di anima. Un bel passo indietro dai tempi di Teofrasto, quando alcuni saggi filosofi avevano osservato che un'anima, al contrario, è presente - e sia pure in misura embrionale - non solo negli esseri umani, ma anche negli animali.

Ma ora torniamo agli animali e alla loro esclusione dalla sfera dell'etica da parte della maggior parte dei filosofi della modernità. A dire il vero, all'interno del razionalismo - la corrente filosofica che ha dominato il XVII secolo e accompagnato, passo per passo, la cosiddetta "rivoluzione scientifica"- è possibile riconoscere due distinti atteggiamenti: uno, maggioritario e rappresentato da Cartesio e Spinoza, fautore dell'esclusione degli animali dall'etica; l'altro, minoritario, rappresentato da Leibniz, contrario ad essa.

Uno dei migliori testi esistenti sull'argomento è, a nostro avviso, quello della saggista inglese Mary Midgley, Animals and why they matter, Londra, 1983; traduzione italiana Perché gli animali di Anna Martina Brioni, Feltrinelli, Milano, 1985, pp.47-49), e da esso riportiamo un passaggio utile al nostro discorso.

"Per una presentazione rigorosa e completa egli Argomenti a sostegno dell'esclusione degli animali dalla morale è naturale rivolgersi ai grandi razionalisti del Seicento, in particolare a Cartesio a Spinoza. Non c'è alcun dubbio sulla loro posizione, ma dobbiamo tener conto di un'intrinseca difficoltà di questo argomento: i fautori più radicali e convinti dell'esclusione assoluta la considerano una tesi ovvia, e non pensano perciò a sostenerla argomentativamente. Nel campo avverso, Montaigne aveva discusso esaurientemente, con precisione e vivacità, le proprie obiezioni al maltrattamento degli animali. Cartesio, che pure doveva avere presenti le obiezioni di Montaigne, liquida in tutta fretta la questione, quasi fosse, per una persona ragionevole, già decisa e priva di interesse. Molto più attento ai problemi etici, Spinoza ne tratta (…) più diffusamente. E sappiamo anche che tenne fede ai propri principi, perché leggiamo in una delle prime biografie che egli, interessato agli insetti, era solito «rinvenendo dei ragni, farli combattere tra loro, oppure, rinvenendo delle mosche, le gettava nella ragnatela e osservava la battaglia con immenso piacere, a volte ridendo». In una lettera troviamo un'annotazione che potrebbe valere come commento tra i più stimolanti ai documentari sulla fauna selvatica: «Tutti osservano con meraviglia e piacere negli animali quegli stessi comportamenti che, negli uomini, suscitano avversione e ripulsa. Ad esempio le battaglie tra le api, la gelosia dei colombi, ecc., cose detestabili negli uomini, e per le quali ciononostante consideriamo gli animali più completi». (…)

"In che cosa consistono quei 'diritti' contrapposti, uguali o disuguali, delle diverse specie, e come possiamo stabilirne l'entità? In particolare, quali differenze di affetti ci autorizzano a escludere una creatura dalla nostra considerazione? Possono essere presenti anche all'interno del genere umano? Che cosa è la ragione? È una facoltà propria dell'uomo, e ignota agli animali? Ed è, questa facoltà, tutto ciò che ha valore nell'uomo? E poi, se incontrassimo delle creature razionali non-umane, come dovremmo trattarle? E che cosa in generale si può obiettare alla compassione? Quest'ultima questione, tuttavia, ha la sua risposta nell'etica razionalistica e individualistica di Spinoza. Egli considera un male la compassione: in primo luogo in quanto è un sentimento, e le azioni rette derivano esclusivamente dalla ragione; in secondo luogo perché è dolorosa, ed è compito di ciascuno ricercare il proprio piacere, in quanto esso indica ciò che per lui è bene. L'idea che la compassione possa essere un legane giusto e naturale tra creature che si identificano nel dolore e nella gioia è del tutto estranea alla sua etica atomizzante. Come le nozioni cartesiane di consapevolezza e di identità personale, così la valutazione spinoziana della simpatia, e più in generale del sentimento, è un presupposto indispensabile dell'esclusione degli animali. Ma a chi non condivida la prospettiva generale di Spinoza, tale valutazione sembrerà eccentrica, ed estranea ad ogni ragionevole considerazione del rapporto tra gli uomini. Se il razionalismo spinoziano non può andare oltre, noi potremmo non sottoscrivere la sua rinuncia.

"Il razionalismo non ha ovviamente un'unica voce. La posizione di Leibniz è ben diversa. Il suo impegno filosofico prioritario è la critica a quell'abisso spalancato, nelle dottrine di Cartesio e Spinoza, tra mente e materia; una critica condotta sul terreno stesso del razionalismo, perché quelle dottrine apparivano incapaci di comprendere l'unità della vita. Egli sottolinea invece a continuità tra l'intelletto e le altre forme di consapevolezza, e tra la vita cosciente e quella inconscia, individuando negli animali una forma di vita diversa solo in grado da quella dell'uomo. E anch'egli, a quanto sembra, tenne fede ai propri principi: «Herr von Leibniz non uccideva le mosche, per quanto moleste potessero essergli, perché gli sembrava un delitto distruggere un meccanismo tanto ingegnoso». Come riferisce Kant, «Leibniz, servendosi di un foglio, riportava sull'albero un piccolo verme, su cui aveva compiuto le sue osservazioni, affinché per sua colpa non gliene venisse alcun danno. Distruggere questa piccola creatura senza ragione non avrebbe potuto non turbare un uomo». Questi accenni, troppo brevi per comunicare il pensiero di Leibniz, sono utili però perché segnalano un'ambivalenza latente nel razionalismo. Nel suo versante negativo e distruttivo può essere tanto spietato da annientare con un tratto di penna quanto cade fuori dal dominio della ragione. Ma nel suo versante costruttivo sa vedere in tutte le cose l'operare della ragione. Prima di emettere un giudizio bisogna prendere in considerazione l'intera gamma di posizioni. Un'ambivalenza analoga caratterizza il pensiero scientifico. Senza dubbio l'entomologia ha adottato entrambi gli approcci. Metterli in relazione non è certo semplice, ma è importante esserne consapevoli."


Oggi, purtroppo, come e più che ai tempi di Spinoza, nell'approccio scientifico al mondo degli animali prevale nettamente la visione riduzionistica, secondo la quale gli animali, essendo privi di ragione, possono essere manipolati illimitatamente e senza alcuno scrupolo.

Valgano per tutti le risposte che diedero alcuni ricercatore scientifici americani, nel corso di un programma televisivo del 1974, al filosofo Robert Nozick, il quale aveva domandato loro se esistano dei casi nei quali essi siano disposti a rinunciare a taluni esperimenti, qualora comportino il sacrificio di centinaia di animali. Uno rispose candidamente: «No, che io sappia»; e alla nuova domanda di Nozick, se gli animali non contino proprio nulla, il dottor A. Perachio del centro di Yerkes rispose semplicemente: «Perché dovrebbero?» (episodio citato sempre nel libro di M. Midgley, op. cit., p. 10).

Non c'è che dire, siamo rimasti ai ragni del "mite" Spinoza - che la vulgata storico-filosofica ci ha sempre descritto come un tranquillo pulitore di lenti -, il quale si divertiva "immensamente" a far combattere fra loro, nonché a osservarli mentre divoravano le mosche che lui stesso catturava per deporle nella ragnatela.

E intanto rideva, rideva.

Dopo i deliri di Hegel sugli Africani, il sadismo di Spinoza sugli animali. Ce ne sono, di cose mostruose, nella storia del pensiero occidentale moderno.

Ma la più mostruosa di tutte è che noi abbiamo perso la capacità di indignarci davanti alla vivisezione e alle mille altre forme di maltrattamento degli animali che, ai nostri giorni - proprio in nome della ragione e del progresso - continuano ad essere impunemente perpetrate.

Francesco Lamendola
Fonte: www.ariannaeditrice.it
Link: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=15553
11.12.07

Friday, November 23, 2007

UN PO' DI COMPASSIONE




Il dolore dell' animale che viene ucciso, ha scritto Schopenhauer, è più grande del piacere di chi lo mangia. Il bilancio della vita è un deficit, il suo peccato originale che la costringe a vivere di morte e a creare sofferenza. È un passivo che si può ridurre, ma non eliminare, come si illudono ecologisti e animalisti, anche perché i nostri oscuri cugini di cui ci siamo proclamati e fatti padroni non sono soltanto il cane o il gatto di casa, le bestie che possiamo osservare e accarezzare, ma anche tutte le specie inappariscenti che non possono destare in noi affetto. Mattatoio di milioni di esseri umani, il mondo lo è ancor più di animali; è un edificio impastato di sangue. Le religioni raccolgono una domanda di redenzione che riguarda non solo l' uomo bensì l' intera creazione: «Tutto il creato - dice San Paolo - condannato a non aver senso soffre e geme come una donna che partorisce».

L' ebraismo mostra una turbata attenzione al dolore animale: nello Schiavo di Isaac Bashevis Singer, Jakob, guardando le vacche destinate al macello, pensa che pure per loro deve esserci la salvezza e recita il Kaddish, la preghiera funebre, per la piccola farfalla bianca che ha vissuto un sol giorno e senza peccato. Se c' è un peccato mortale, questo è la crudele e imbecille aggiunta di sofferenze gratuite a quelle inevitabili. Anche nei confronti degli animali, di quel vitello dagli occhi «larghi e bagnati» che, in un passo memorabile della Storia di Elsa Morante, ha una «prescienza oscura» della sua sorte. La lettera che Rosa Luxemburg - pochi mesi prima di venire massacrata in quanto comunista, nel 1919, con i calci dei fucili da parte dei Corpi Franchi parafascisti - scrive dal carcere alla moglie di Karl Liebknecht (leader comunista spartachista poi assassinato insieme a lei) è un documento di altissimo valore morale. Karl Kraus, il beffardo vendicatore dell' umanità oltraggiata, pubblicando la lettera nella sua rivista «Die Fackel» con la quale combatteva da solo contro la guerra e l' orrore del mondo, scriveva che essa avrebbe dovuto venir accolta nei libri di scuola. Kraus non era né comunista né socialista: era un conservatore, uno spirito aristocratico, satirico e religioso che difendeva le vittime di ogni violenza; non condivideva il pensiero marxista-libertario di Rosa Luxemburg, una delle più grandi figure del movimento internazionale. Ma sapeva che le classi dominanti non erano meno feroci dei tribunali rivoluzionari e che i padroni erano pronti ad ogni abiezione pur di restare padroni; aborriva la violenza rivoluzionaria, ma sapeva che spesso chi, giustamente, se ne scandalizza, tace invece sulle dame dell' alta società che si deliziavano di assistere alle fucilazioni anche di bambini della Comune di Parigi. Che il diavolo si porti la prassi del comunismo, scriveva, ma che «Dio ce lo conservi come costante minaccia sulle teste» di coloro che per salvare il loro dominio spediscono senza batter ciglio moltitudini alla guerra, al massacro e alla morte. Imprigionata e avviata alla sua fine, ma intatta nella sua gioia di vivere - proprio perché è pronta a perdere la sua vita e così la salva, secondo il detto evangelico - Rosa è tanto aperta al mondo da patire e sdegnarsi per la sofferenza di un bufalo che vede, nel cortile, picchiato senza ragione a sangue, mansueto e stupefatto di quella crudeltà che non riesce a capire - gli occhi dell' animale morente, ha scritto Rossana Rossanda, hanno uno stupore insostenibile. Aliena da ogni sentimentalismo da società zoofila, Rosa Luxemburg coglie nel muto dolore della bestia quel pianto di ogni altro male e di ogni vita che Saba (in una famosa poesia ricordata da Marco Rispoli, il quale ha curato con finezza il volume, che comprende altri testi di grandi autori dedicati alla sofferenza animale) coglieva nel belato della capra legata.

Quel bufalo è più vicino a Dio della zotica nobildonna e proprietaria terriera ungherese che insulta Rosa Luxemburg e che Kraus si rammarica di non poter prendere a frustate al pari di quel bufalo, così come i muggiti dei buoi avviati al macello sono più umani di quelli dei bestiali violenti degli stadi, che non meriterebbero un destino molto migliore. Il ruolo di padrone del creato che l' uomo si assegna, scrive Rispoli, è «fallace»; volersi padroni è essere servi e consegnarsi alla frusta, come quell' animale che in un aforisma di Kafka si frusta da solo «per diventare padrone». Scriveva Noventa, grande poeta cattolico, classico e anticonformista: «Mi me credevo - Un òmo libero/ E sento nascer - In mi el paròn».


Claudio Magris
Fonte: www.corriere.it
Link:
14.11.07


EDIZIONI ADELPHI PAGINE 65, 5,50 Rosa Luxemburg (1871 -1919) fu tra i fondatori del Partito comunista di Germania - Lega di Spartaco. La lettera di «Un po' di compassione» fu scritta nel carcere di Breslavia poco prima che venisse trucidata nel 1919 Il volume contiene testi di Kraus, Kafka, Canetti, Roth e di un' ignota lettrice della «Fackel»
LA PELLE DELL'ORSO

Mentre leggevo La pelle dell'orso di Margherita D'Amico (Mondadori, pagine 144, e 13) mi sono ricordato di quel che scriveva Horkheimer, che cito a memoria: «L'umanità dovrebbe ricordarsi, nell'ultimo piano del grattacielo dove avesse la sua dimora, di tutti gli umiliati e dolenti piani sottostanti che reggono quel piano superiore. Nello scantinato più basso, nelle fondamenta di tutto l'edificio, che in alto offre un concerto di Mozart o una mostra di quadri di Rembrandt, abita la sofferenza dell'animale e cola il sangue del mattatoio».

In quello scantinato più basso ci costringe a guardare Margherita D'Amico con la sua fiera e dolente requisitoria fatta con dati e cifre alla mano, dati e cifre impressionanti. Le fattorie e gli allevamenti intensivi, i macelli, gli zoo, i parchi naturali, le riserve di caccia sono i luoghi dove più ignominioso si esercita il dominio dell'uomo e dove più grandi sono le torture inflitte agli animali. Una delle prime leggi morali che l'umanità dovrebbe rispettare per esser degna del primato che si arroga dovrebbe essere: «Non si può fare quel che si vuole di chi è completamente in nostro potere». È questo il principio fondamentale dei tanto proclamati diritti umani, e dovrebbe valere sia per gli uomini che per gli animali. E perciò un carceriere non può fare quello che vuole del proprio prigioniero, così come un cocchiere non può fare quello che vuole del proprio cavallo, gli esempi che si potrebbero fare sono infiniti.

Ognuno può immaginare quanto è vasto il campo di quello che assolutamente non si può fare e che invece con la massima indifferenza ogni giorno vien fatto. Margherita D'Amico, con la sua documentata denuncia ce lo mette sotto gli occhi, maltrattamenti fatti agli animali, anche quando non sono necessari e anzi inutili e controproducenti, fatti per pura crudeltà, per incuria e per bruttura morale, sono da lei descritti con meticolosa precisione e con l'obiettività di un reportage in queste pagine, ma in ogni pagina, in ogni riga si avverte il dolore che lega chi scrive al muto dolore animale, e si sente anche l'anelito verso una umanità migliore, un'umanità di cui non ci si debba vergognare. Perché è vero, vergogna si prova per tanta mancanza di compassione e tanta noncurante ferocia, e insieme con la vergogna uno sgomento ci prende, lo stesso sgomento che prova chi scrive anche quando vorrebbe non mostrarlo apertamente. Quello sgomento appare sin dalle prime pagine quando a Piazza Augusto Imperatore l'autrice vede un topo che è stato avvelenato, e lo raccoglie. «Ancora prima di chinarvi vedete che ha gli occhi rossi e gonfi come bolle d'acqua; anche dalla bocca esce sangue. Con un fazzoletto lo raccogliete. Ora lo tenete nel palmo... ne percepite il battito affannoso del cuore e lo sgomento vi coglie. Quel topo, deve aver mangiato il veleno, un anticoagulante pensato per causare emorragie interne ed esterne, fino alla morte, che sopraggiunge dopo parecchie ore (...) bisognerà pure che gli si pratichi un'eutanasia affinché si spenga senza inutili sofferenze. Ma siamo a metà estate e gli ambulatori non rispondono. Che fare? Per un istante vi sfiora perfino l'idea di colpirlo forte con un masso». Malgrado tutti i tentativi per alleviare la sua agonia il sorcio non se la caverà e morirà con indicibili sofferenze nella tana dove si è ritirato. Questo capita ogni giorno a milioni di altri topi «affinché proprio voi possiate mantenere una separazione netta, fisica e interiore, fra quanto sulla terra si trova sopra e quanto sta sotto. E proprio al sopraggiungere di quella consapevolezza, potrebbe accadere anche a voi di lacerarvi nell'intimo e provare un disperato dolore di cui il pianto non riesce a privarvi».

Ho voluto fare questa lunga citazione perché quella lacerazione nell'intimo, quel disperato dolore e quel pianto a me sembrano l'unica risposta e l'unica forma di resistenza all'orrore descritto in questo libro, e forse l'unico possibile riscatto dalla vergogna e dal senso oscuro di colpa che proviamo leggendolo. E anche l'unico modo per immaginare un'umanità diversa, capace attraverso la compassione per gli animali di andare oltre se stessa e riscattarsi dal suo peccato originale.

Raffaele La Capria
Fonte: www.corriere.it
16.11.07

Saturday, November 10, 2007

"EARTHLINGS"






















Earthlings (Terrestri) è un documentario (con sottotitoli in italiano) sull'assoluta dipendenza dell'umanità dagli animali (usati come compagnia, come cibo, come vestiario, per divertimento e per la ricerca scientifica) ma illustra anche la nostra completa mancanza di rispetto per questi cosiddetti "fornitori non umani". Il film è narrato dall'attore Joaquin Phoenix, nomitato dall'Academy Award (GLADIATOR) e la colonna sonora è di Moby, artista acclamato dalla critica.

Attraverso uno studio approfondito svolto all'interno di negozi di animali, allevamenti di animali domestici, rifugi, ma anche negli allevamenti intensivi, nell'industria della pelle e della pelliccia, in quella dello sport e dell'intrattenimento, e infine nella professione medica e scientifica, EARTHLINGS usa telecamere nascoste e filmati inediti per tracciare la cronaca quotidiana di alcune delle più grandi industrie del mondo, che basano i loro profitti interamente sugli animali.

Potente e informativo, EARTHLINGS è un film che fa riflettere ed è finora il più completo documentario mai prodotto sulla correlazione tra la natura, gli animali e gli interessi economici degli umani. Ci sono molti film ben fatti sui diritti animali, ma questo li supera tutti.

EARTHLINGS è ora disponibile anche con i sottotitoli in italiano, e può essere visto on-line in streaming oppure scaricato, il tutto alla pagina:
http://veg-tv.info/Earthlings

Fonte: www.agireora.org/
Link: http://www.agireora.org/info/news_dett.php?id=360
10.11.07

Monday, November 05, 2007

FIGHT FOR ANIMALS

CHI HA PAURA DEI VEGETARIANI/ANIMALISTI?





Molte categorie di persone ci vorrebbero morti, o almeno feriti.
Incominciamo coi preti
Sono molte le categorie di persone a cui dà enorme fastidio il diffondersi della cultura vegetariana: la paura è che questo rinnovamento sociale, etico, esistenziale e spirituale, questo stile di vita pacifista, ecologista e lungimirante abbia il sopravvento sulla concezione antropocentrica e sul carnivorismo materialista, crapulone, irresponsabile e distruttivo e molta gente si trovi a dover fare i conti con i suoi interessi economici, la sua gola, i suoi vizi, la sua coscienza. Sicuramente la categoria più preoccupata, a mio avviso, sembra essere quella clericale anche se fa di tutto per ignorare l’esistenza stessa del problema. Niente (a mio avviso) come l’etica del vegetarismo può mettere in crisi la morale cattolica. La nostra etica e la nostra compassione è più vasta e più profonda, il nostro amore più autentico e più disinteressato. Gli ultimi a riconoscere la fratellanza universale saranno sicuramente i preti i quali (a mio avviso) scelgono la carriera ecclesiastica anche o soprattutto perché la loro religione li autorizza a disporre della vita di ogni essere non umano e questo li fa sentire importanti: il loro Dio li benedice quando squartano un agnello e lo divorano. Gli ultimi a restare con la carne tra i denti: loro che, ufficialmente, hanno rinunciato ai piaceri del sesso come potrebbero rinunciare anche alla carne? Come si giustifica il prete davanti ad un laico che senza avere la presunzione di essere ad immagine di Dio e senza voler essere un rappresentare in terra della misericordia, della bontà e dell’amore divino, chiede rispetto e compassione non solo per gli esseri umani ma anche per gli animali, mentre essi spingono a reprimere il naturale sentimento di compassione verso la sofferenza di questi nostri sventurati fratelli e di affondare con disinvoltura il coltello nel cuore e nelle loro viscere?.

L’antropocentrismo, cioè la visione sventuratamente più o meno diffusa in tutte le popolazioni umane per cui si ritiene che l’uomo abbia per legge naturale il diritto di disporre della vita degli animali (il cardine teologico delle tre religioni monoteiste) è a mio avviso la causa della maggior parte delle sventure umane specialmente quelle di più recente manifestazione, come la distruzione dell’ambiente, l’esplosione delle malattie degenerative dovute ai grassi animali, la disumanizzazione della coscienza umana e gli orrori dei campi di concentramento-mattatoi per gli animali. Tale visione, ereditata dall’infausto comando biblico “Soggiogate la terra” e “Crescete e moltiplicatevi”, sta portando il pianeta e i suoi abitanti sull’orlo di un’ecatombe universale. Nel 2005 nella basilica del Laterano in un simposio tenuto apposta per ribadire la centralità dell’uomo nel creato Mons. Angelo Scola ha affermando: “Il cristianesimo e l’antropocentrismo stanno insieme o cadono insieme”. E siccome i vegetariani/animalisti considerano l’antropocentrismo l’ideologia più perniciosa e devastante, ciò che preclude lo sviluppo della sensibilità dell’animo umano, della compassione universale e della valorizzazione del diverso, è facile comprendere che la Chiesa vede in noi vegetariani il Diavolo, l’Anticristo, come si trovò ad affermare il cardinale Biffi durante un miting a Bologna nell’anno 2000. Biffi, ispirandosi alle parole del filosofo russo Solovev “L’Anticristo sarà un convinto spiritualista (per cui per essere buoni cristiani è proibito essere spiritualisti),un ammirevole filantropo (per cui essere filantropi è un’attitudine da reprimere se si vuole essere cristiani), un pacifista impegnato e solerte (per cui essere pacifisti, non lo era forse Gesù? è condizione condannata dalla Chiesa), un vegetariano osservante (per cui nutrire compassione per i più deboli, gli animali, è considerata una attitudine anticristiana), un animalista determinato e attivo, (per cui interessarsi della sofferenza delle creature di Dio e cercare di impedire la loro stessa estinzione è un atteggiamento contrario ai principi della Chiesa).

Per la Chiesa l’Anticristo non è colui che per definizione è agli antipodi di Cristo ma tutto ciò che è diverso dalla Chiesa. Con questo principio nel corso di 1800 la Chiesa ha sterminato con il rogo e la mannaia molte comunità di perfetti imitatori di Cristo come i Valdesi, i Catari, i Monfortini, gli Stendigi, gli Apostolici, i Lollardi ecc. colpevoli non di non essere come Cristo ma di non essere come la Chiesa. Infatti questi vivevano in povertà, castità, umiltà, mitezza e proclamavano l’ugualianza. Ma in fondo se tutti diventassimo buoni, sensibili e giusti come succede per chi si apre all’amore verso ogni creatura e smette di mangiare la carne che rende cattivi, aggressivi e violenti, che motivo avrebbe di esistere un organismo preposto a questo scopo?

Franco Libero Manco
Fonte: www.vegetariani-roma.it
Link: http://www.vegetariani-roma.it/dblog/articolo.asp?articolo=468
5.11.07

Thursday, August 16, 2007

UNA VERITA’ MOLTO SCOMODA





L'industria della carne è una delle più distruttive per l'ambiente che esista sulla faccia della Terra. La pratica dell'allevamento e della macellazione di maiali, vitelli, pecore, tacchini e polli non solo sfrutta vaste aree di terra ed enormi quantità d'acqua, ma è anche la maggiore responsabile delle emissioni di gas serra nell'ambiente anche più della stessa industria automobilistica.

L'industria ittica sta letteralmente saccheggiando l'oceano delle sue forme di vita e circa il 50% del pesce preso negli oceani una volta trasformato in farina serve per nutrire mucche, maiali, pecore, ecc. Pensate servono circa 50 pesci, presi dai nostri mari, per nutrire un salmone d'allevamento.

Abbiamo trasformato le nostre mucche domestiche nei più grandi predatori marini del pianeta. Le centinaia di milioni di mucche che pascolano nei prati e scoreggiano metano consumano più pesce di tutti gli squali, delfini e foche del mondo messi insieme. I nostri gatti domestici consumano più pesce, specialmente tonno, di tutte le foche al mondo.

Allora perché i più importanti gruppi ambientalisti al mondo non conducono campagne contro l'industria della carne? E perché il film "An Inconvenient Truth” dell'ex vice presidente americano Al Gore non denuncia la scomoda verità secondo cui l'industria della macellazione produce più emissioni di gas serra dell'industria automobilistica?

Le navi di Greenpeace servono quotidianamente carne e pesce ai loro equipaggi. Il WWF non dice una parola riguardo alla minaccia che il mangiar carne pone per la sopravvivenza delle specie protette, agli habitat distrutti o ai predatori eliminati per salvare il loro prezioso bestiame.

Quando sono stato direttore per tre anni del Sierra Club (NdT: la più importante organizzazione ambientalista negli USA), tutti mi guardavano divertiti quando tiravo fuori l'argomento della scelta vegetariana. A tutte le nostre cene del direttivo venivano servite portate a base di carne e pesce e solo dopo molte lamentele e punzecchiamenti da parte di due consiglieri vegetariani si è cercato di ottenere un menù vegetariano. Alla nostra conferenza in Montana è stata servita carne di bufalo e antilope, aragoste a quella di Boston, granchi a Charleston, bistecca ad Albuquerque, ecc. Ma che cosa altro ci si può aspettare da un gruppo eco-conservatore che appoggia la caccia da trofeo.

Per quanto ne so, e può anche essere che mi sbagli, ma la mia organizzazione, la Sea Shepherd Conservation Society è l'unica organizzazione protezionista al mondo che sostiene e pratica la scelta vegetariana. Sulle mie navi non viene servito nessun alimento di origine animale quindi niente carne, pesce o latticini. Seguiamo una dieta strettamente vegana ormai da anni e nessuno di noi è morto di scorbuto o per malnutrizione.

Il prezzo che paghiamo per questa scelta è quello di essere accusati dalle altre organizzazioni di essere degli animalisti. Come se fosse una brutta parola. Lo dicono con lo stesso disdegno che avevano gli Americani nel dire la parola comunista negli anni Cinquanta.

La Sea Shepherd Conservation Society non è una organizzazione animalista. Noi ci occupiamo esclusivamente di prevenire attività illegali che minacciano e sfruttano l'ambiente marino e i suoi habitat. Ci occupiamo di attività di conservazione dell'ambiente marino.

E poiché le nostre navi sono, per così dire, "vegan", altri gruppi, e ora anche i mezzi di comunicazione, ci etichettano come un'organizzazione per i diritti degli animali.

Innanzitutto non ritengo che essere un'organizzazione per i diritti degli animali sia un insulto. La PETA è stata co-fondata da uno dei membri del mio equipaggio e molti dei miei volontari provengono da movimenti animalisti. Tuttavia non è accurato riferirsi alla Sea Shepherd come un'organizzazione animalista quando noi pratichiamo una rigida politica di rafforzamento della conservazione dell'ambiente marino.

In secondo luogo, non promuoviamo il veganismo sulle nostre navi perché siamo animalisti ma perché lo consideriamo un mezzo per ottenere ciò per cui lottiamo, che è la conservazione degli oceani.

Non c'è pesce a sufficienza negli oceani per nutrire 6.6 miliardi di persone e altri 10 miliardi di animali domestici. Questo è il motivo per cui le industrie della pesca commerciale nel mondo stanno collassando. Ecco perché balene, delfini, foche ed uccelli marini stanno morendo di fame. Il cicerello, un tipo di pesce azzurro, per esempio, che è la prima fonte di cibo per la bellissima pulcinella di mare, è vicino all'estinzione per la pesca sfrenata a cui è stato sottoposto da parte dei pescatori Danesi che lo utilizzano solo per fornire farine di pesce agli allevamenti di polli.

C'è un forte legame tra il mangiar carne e la distruzione della vita nei nostri oceani.

In un mondo in cui le fonti di acqua stanno diminuendo alla velocità della luce, è una vera follia allevare centinaia di milioni di mucche che consumano più di 3500 litri di acqua per circa 500 grammi di carne di vitello prodotta.

E le fattorie di maiali in North Carolina producono così tanti rifiuti che hanno contaminato le falde acquifere dell'intero stato. Gli abitanti della North Carolina bevono escrementi di maiali insieme alla loro acqua ma per loro non è un problema visto che la disinfettano con il cloro.

Gran parte delle persone non vuole sapere da dove proviene la carne che mangiano. E non sono nemmeno interessate all'impatto che questo ha sull'ecologia. Ignorano completamente la cosa e anzi considerano la carne come qualcosa che arriva già impachettata nei negozi.

Ma poiché un senso di colpa di fondo c'è sempre, questo si manifesta sotto forma di rabbia e di presa in giro nei confronti delle persone che hanno uno stile di vita ambientalista come i vegani e i vegetariani.

Si può constatare questa situazione attraverso la costante emarginazione che mettono in atto i vari mezzi di comunicazione. Qualsiasi organizzazione, come la Sea Shepherd per esempio, che sottolinea le contraddizioni ecologiche del mangiar carne viene subito messa da parte come un'organizzazione estremista per i diritti degli animali.

Non ho costituito la Sea Shepherd Conservation Society come un'organizzazione i cui scopi fossero i diritti degli animali ed inoltre non si è mai incoraggiato questo atteggiamento all'interno dell'organizzazione. Ciò per cui lottiamo e cerchiamo di promuovere è la conservazione degli oceani e dei suoi habitat.

E la verità è che non si può praticare un lavoro di conservazione valido e costruttivo senza promuovere il vegetarianismo e il veganismo come un qualcosa che favorisce la conservazione delle risorse.

Qualche anno fa ho preso parte alla conferenza dell'American Oceans Campaign tenuta da Ted Danson. Ted aprì la serata dicendo che la scelta che aveva dovuto fare per la cena era tra il pesce ed il pollo, e continuò dicendo quale senso avesse salvaguardare il pesce se tanto poi non lo puoi mangiare?

L'ospite d'onore, l'oceanografa Sylvia Earle lo sistemò dicendo che non era per niente divertente. Disse che considera i pesci suoi amici e non crede che ci si possa nutrire di amici. Quella sera né io né Sylvia toccammo cibo per cena.

Ho incontrato Sylvia ad un'altra conferenza, questa volta della Conservation International tenutasi nella Repubblica Dominicana. L'attore Harrison Ford era presente e si diceva che fosse lì per salvare gli oceani. Io ero stato invitato come consulente. Ero seduto ad un bancone del bar sulla spiaggia e guardavo come i conservazionisti si avvicinavano ai tavoli stracolmi di pesce. Volsi il mio sguardo a Sylvia Earle e la vidi scuotere la testa alzando gli occhi al cielo.

Il problema è che queste persone come Carl Pope, il direttore esecutivo del Sierra Club, o i capi di Greenpeace, del WWF e molti altri grandi gruppi, rifiutano di accettare che le loro abitudini alimentari rappresentano gran parte della causa di tutti i problemi che stanno cercando di risolvere.

Ricordo un attivista di Greenpeace che cercava di difendere le sue abitudini alimentari basate sul mangiare carne dicendo che era un carnivoro e che i predatori hanno il loro posto ed era orgoglioso di essere uno di questi.

Ora, la parola "predatore", riferita agli esseri umani ha una connotazione piuttosto terrificante (e vera in molti sensi), ma non ha niente a che vedere con le abitudini alimentari; che un umano si autodefinisca carnivoro è semplicemente ridicolo.

Gli uomini non sono e non sono mai stati carnivori. Il leone è carnivoro, come lo è il lupo, la tigre e lo squalo. I carnivori mangiano animali vivi. Si avvicinano di soppiatto alla preda, la travolgono, la atterrano, la uccidono, e la mangiano con il sangue e con la carne a temperatura ambiente. Questa è la natura, un rosso brutale nei denti e nelle mandibole.

Non ho mai conosciuto un uomo che sia in grado di far questo. Sì, noi abbiamo trovato modi per uccidere gli animali. In effetti siamo diventati piuttosto efficienti per quel che riguarda l'uccidere. Ma non siamo in grado di mangiare la preda fino a che non è stata tagliata e cucinata e ciò solitamente richiede del tempo tra l'uccisione e quando verrà mangiata. Può essere un'ora come anni.

Le nostre abitudini alimentari sono più vicine all'avvoltoio, allo sciacallo o altri mangiatori di carcasse. Ciò significa che non possiamo descriverci come carnivori. Potremmo meglio descriverci come mangiatori di cadaveri. Credo proprio che non ci sia niente di nobile nel mangiare un cadavere.

Considerate che alcune mucche che la gente mangia sono morte da mesi e in alcuni casi da anni. Morte e mantenute in congelatore, piene di acido urico e batteri. È un cadavere in decomposizione.

Ma basta negare un po' la realtà dei fatti per poter addentare tranquillamente un Big Mac o tagliamo qualche costata.

Però quella costata da mezzo chilo equivale 4000 litri d'acqua, a qualche ettaro di prato, qualche pesce, un ottavo di ettaro di grano, ecc. A che cosa serve quindi fare una doccia più breve come ci invita a fare Greenpeace se poi ci sediamo e consumiamo 4000 litri di acqua mangiando un solo pasto a base di carne?

Inoltre ottenere questa quantità di carne costa tanto quanto le risorse vegetali equivalenti per sfamare un intero villaggio africano per una settimana.

Il problema è che scegliamo di vedere le nostre contraddizioni solo quando ci fa comodo e quando non ci fa comodo, semplicemente passiamo in uno stato d'incredulità e mangiamo lo stesso quella bistecca, perché, ehi! ci piace il sapore di carne marcia alla sera.

Ma c'è qualcuno che sa realmente cosa c'è in un hot dog? Sappiamo che il ministero della salute permette una percentuale accettabile di parti di scarto, escrementi di roditori e altre schifezze nel mix.

E poi esce fuori che il tonno non può essere mangiato dalle donne incinte o dai bambini piccoli per gli elevati livelli di mercurio. Allora il mercurio fa bene agli adulti e alle donne non incinte? Ma che cosa ci stanno raccontando?

Mangiare carne o pesce non solo è nocivo per l'ambiente ma è anche nocivo per la salute.

In conclusione, per essere protezionisti e ambientalisti dovete praticare e promuovere il vegetarianismo e meglio ancora il veganismo.

È lo stile di vita che lascia l'impronta ecologica meno profonda, utilizza minori risorse e produce minori emissioni di gas serra, è più sano e soprattutto così non sarete degli ipocriti.

In effetti un vegano che guida una Hummer (un fuoristrada) produce meno emissioni di gas serra rispetto ad una persona che mangia carne e va in giro in bicicletta.


Versione originale:

Paul Watson
Fonte www.permaworld.org
Link: http://www.permaworld.org/members/permaworld/weblog/a_very_inconvenient_truth_-.html
30.08.07

Versione italiana:

Fonte: www.agireora.org/
Link: http://www.agireora.org/info/news_dett.php?id=284
8.08.07

Traduzione a cura di Linda Possanzini

Sunday, April 15, 2007


ERO UN VIVISETTORE















Iniziò tutto quando ero uno studente universitario di medicina. Venimmo abituati gentilmente; iniziammo guardando video di esperimenti su conigli anestetizzati e prendendo nota dei risultati. In seguito effettuammo esperimenti sulle zampe delle rane e poi sui cuori. Prendevamo la cosa seriamente e 15 anni dopo ricordo ancora i principi fisiologici che imparavamo in quegli esperimenti. Così sembrava ne valesse la pena.

Quando iniziai il dottorato, dovetti frequentare un corso che insegnava a occuparsi degli animali sotto anestesia e ucciderli con umanità. In Gran Bretagna la sperimentazione sugli animali prevede norme molto rigide ; è necessaria una licenza dal Ministero degli Interni e si devono fare esami e test pratici per dimostrare la propria competenza. Il corso fu spaventoso. Guardavamo un video su come uccidere gli animali - gente con maschere e camici da laboratorio che sbattevano gli animali sul lato di un tavolo o gli spezzavano il collo - e poi discutevamo tranquillamente di etica, come se tutto avesse senso. Il problema è che non ce l'aveva - ma devo essermi perso il pezzo in cui ci incoraggiarono a metterlo in dubbio.

Quando iniziai a lavorare nel laboratorio di ricerca, venne il mio turno. Eravamo attentamente supervisionati e non ci veniva fatta fretta di uccidere animali prima che fossimo sicuri di poterlo fare in modo appropriato. Ma non mi sembrava giusto fare gli esperimenti senza compiere anche l'uccisione. Riuscivo a sentire il battito frenetico del cuore della cavia quando la presi in mano; non era l'unica ad essere nervosa. E poi lo feci. Le sbattei la testa sul lato del tavolo per tramortirla, poi le tagliai la gola e morì dissanguata. Il rumore del cranio che sbatte contro il tavolo non mi lascerà mai; 10 anni dopo sobbalzo ancora quando sento un suono simile.

In alcuni laboratori, il danno psicologico che questa tecnica infligge sullo staff è ben noto e agli animali viene perciò iniettata una dose mortale di anestetico. Ma questo è molto più doloroso per l'animale e può danneggiare il tessuto sul quale si vuole sperimentare. Così li colpivamo sulla testa e vivevamo con il suono di crani rotti.

Presto divenne più facile. Ciò che all'inizio mi aveva scioccato fu all'improvviso molto normale e banale. Sbattere la nuca delle cavie e poi tagliare loro la gola non mi faceva davvero più effetto. E sembrava non fare alcun effetto a nessun altro. I colleghi mi dissero che era una strategia del tutto naturale per farcela, che semplicemente non lo avresti potuto fare senza razionalizzarlo nella tua testa. Gli amici immaginavano che stavo facendo sicuramente della ricerca medica che valeva disperatamente la pena per giustificare un tale comportamento, che stavo per scoprire la cura per l'AIDS o per le malattie cardiache. La verità è che il lavoro di ricerca procede spesso per tentativi ed è solo il senno di poi che ci permette di giudicare quali erano le scoperte utili.

Nel frattempo il palazzo nel quale lavoravo era sotto assedio da parte degli antivivisezionisti. Un importante leader per i diritti degli animali stava facendo lo sciopero della fame in prigione. I suoi sostenitori avevano fatto circolare una lista di accademici che avrebbero ucciso per vendetta se il leader fosse morto.

Eravamo circondati da barriere di acciaio e da poliziotti a cavallo dalle facce severe. L'auto del dipartimento aveva uno specchietto su un'asta, così da poter controllare se sotto c'erano bombe. Ma a volte avere un nemico contro il quale unirsi rende più facile non mettere in dubbio ciò che si sta facendo. E una volta che ci sei dentro è difficile uscirne.

Quando ebbi terminato il mio dottorato triennale, me ne andai. Ero diventato un uomo che pensava fosse normale uccidere animali quotidianamente e non soffrirne, il che non era esattamente ciò che volevo essere.

Un anno dopo che avevo terminato presi in mano di nuovo una cavia. Era una di quelle molto pelose, la cui testa e coda erano difficilmente distinguibili. Non dissi al suo proprietario cosa facevo una volta. Avevo un irrazionale timore di andare fuori di testa all'improvviso e colpire il povero animale. Non lo feci, ma dovetti nascondermi le mani, che tremavano quando lo rimisi giù.

Ora mi considero riabilitato. Ho ucciso solo due animali da allora: un uccello selvatico senza una zampa e brulicante di vermi e un coniglio mezzo morto con una mixomatosi. Entrambe le volte poi ho vomitato di puro orrore. Ma questa è una reazione naturale e ne sono felice.


Versione originale:

Fonte: www.guardian.co.uk/
Link: http://www.guardian.co.uk/weekend/story/0,,2045354,00.html
31.03.07


Versione italiana:

Fonte: www.agireora.org
Link: http://www.agireora.org/info/news_dett.php?id=207
15.04.07