Wednesday, January 17, 2007

La sperimentazione dei farmaci sugli animali serve davvero?




Da decenni gli animalisti si dibattono: non torturate gli animali in laboratorio per testare nuovi farmaci, è inutile. Da decenni gli scienziati rispondono: lasciateci lavorare, solo così possiamo mettere a punto nuovi farmaci e salvare vite umane. Ora il British Medical Journal pubblica una ricerca che analizza in concreto quanto la sperimentazione sugli animali è stata efficace nel trovare nuove cure per gli esseri umani


Tra i due litiganti, il terzo tenta di comprendere quanto sia fondato il dissidio.È questo, infatti, l'obiettivo di un articolo di sei pagine pubblicato dal British Medical Journal, nel quale un gruppo interdisciplinare di ricercatori, sparsi tra Gran Bretagna e Argentina, chiarisce in termini scientificamente rigorosi l'utilità e l'affidabilità della sperimentazione dei farmaci sugli animali, andando oltre la sterile polemica che da anni contrappone i difensori dei diritti delle cavie da laboratorio alla maggior parte degli scienziati, convinti che senza questo tipo di test lo sviluppo dei farmaci sarebbe molto problematico.

VERIFICARE L'ATTENDIBILITÀ DEI TEST SUGLI ANIMALI

Il metodo seguito dal team di ricercatori, essenzialmente una metaanalisi condotta su dati resi già disponibili da altre pubblicazioni e archivi scientifici, prevedeva che, relativamente a sei categorie di farmaci, fossero messi sistematicamente a confronto i casi in cui questi ultimi avevano prodotto un effetto (tanto positivo quanto negativo) nella sperimentazione clinica su esseri umani, con i corrispondenti test effettuati in precedenza sugli animali, al fine di cogliere la corrispondenza o la divergenza dell'effetto terapeutico riconducibile alle stesse sostanze nei due diversi ambiti, e di conseguenza l'attendibilità effettiva dei test condotti sulle cavie in vista della somministrazione dei farmaci all'uomo.

ANALIZZARE I RISULTATI DI VARIE SPERIMENTAZIONI

Gli studiosi hanno dunque analizzato i risultati della sperimentazione clinica dei corticosteroidi nel trattamento del trauma cranico, degli antifibrinolitici in quello delle emorragie, dei trombolitici e del tirilazad nella terapia dell'ictus ischemico acuto, dei corticosteroidi prenatali nella prevenzione della sindrome da distress respiratorio del neonato, e dei bifosfonati nella cura dell'osteoporosi.
E hanno scoperto che in ben tre casi su sei la somministrazione dello stesso farmaco agli animali e all'uomo ha avuto un esito dissimile.

IL TRAUMA CRANICO È DIVERSO TRA TOPI E UOMINI

I corticosteroidi, ormoni sintetizzati nella corteccia surrenale, non producono alcun vantaggio nel trattamento del trauma cranico umano, e tendono piuttosto a incrementare il rischio di morte, laddove almeno sette esperimenti effettuati sui topi avevano fatto pensare a effetti neurologici della sostanza. La divergenza è stata spiegata da Ian Roberts (uno degli autori dello studio, epidemiologo presso la London School di igiene e medicina tropicale), lasciata da parte l'ovvia differenza biologica tra topi ed esseri umani, con la circostanza indebitamente trascurata che il trattamento dei topi da laboratorio ha luogo entro cinque minuti dal trauma, mentre nella sperimentazione clinica, basata sulle ammissioni ospedaliere, i pazienti non vengono sottoposti alla terapia così rapidamente, ma di solito entro tre ore dalla lesione subita.

ANCHE LE EMORRAGIE SONO DIVERSE...

Gli antifibrinolitici, farmaci utilizzati nel trattamento delle emorragie prodotte dal repentino scioglimento di un coagulo di sangue, si sono rivelati in grado di ridurre le emorragie durante gli interventi chirurgici, ma il loro uso non è stato certo incoraggiato dalla sperimentazione sugli animali: gli otto studi analizzati da Roberts e colleghi sono stati infatti condotti con scarsa professionalità, dalla mancata indicazione del numero di animali testati, fondamentale per capire quanto si possa ritenere generalizzato l'effetto di un farmaco, all'ipotizzata letalità di quest'ultimo in assenza di cavie morte, passando poi per esperimenti contraddittori, conclusi talvolta dalla morte, talaltra dalla perdita di emoglobina. In questo caso, tutto congiurava insomma nel far ritenere improponibile l'uso di farmaci che invece si sono rivelati di una certa importanza per l'uomo.

...COSÌ COME GLI ICTUS

Il terzo esempio di risultati incongruenti tra uomo e animale nella sperimentazione di un farmaco è quello del tirilazad nella terapia dell'ictus ischemico acuto, relativamente al quale esso si è dimostrato inutile e potenzialmente dannoso per l'uomo, al contrario di quanto accaduto nella sperimentazione animale. "Si dovrebbe osservare", scrivono però gli autori dell'articolo, insistendo su dettagli trascurati che pregiudicano una seria possibilità di comparazione, "che l'intervallo tra l'insorgenza dell'ictus e il trattamento era mediamente più ampio negli studi clinici (cinque ore) che nei modelli animali (dieci minuti). Alcune sperimentazioni cliniche hanno reclutato pazienti fino a 24 ore dopo l'insorgenza dell'ictus".

E ANCHE QUANDO L'ANALOGIA C'È, NON È DETTO CHE DIPENDA DALLO STUDIO SUGLI ANIMALI

Anche nel caso dei trombolitici con attivatore tissutale del plasminogeno (farmaci che avviano la dissoluzione del trombo, il coagulo patologico di sangue all'origine del disturbo), invece efficaci per la cura dell'ictus ischemico acuto tanto nell'uomo quanto nell'animale, i ricercatori sottolineano che "gli studi animali erano in ogni caso di qualità scadente, con evidente distorsione di pubblicazione", ovvero la tendenza a presentare solo i dati che possono confermare una certa conclusione e a occultare quelli in grado di metterla in discussione. La scarsa accuratezza degli studi sembra affliggere inoltre i test sui corticosteroidi prenatali, che attenuano la sindrome da distress respiratorio del neonato, sia umano che animale, "benché i dati siano scarsi e non abbiamo trovato prova della loro corrispondenza per la mortalità", lamentano gli studiosi.

IN DUBBIO LA SCIENTIFICITÀ DEGLI ESPERIMENTI

Inutile, infine, sperare di sentirci in tutto e per tutto simili agli animali almeno quando si tratta di curare l'osteoporosi con i bifosfonati, farmaci che incrementano la nostra e la loro densità ossea: la concordanza dell'effetto terapeutico non è stata suggerita dai 16 esperimenti sugli animali (due condotti su babbuini e 14 su ratti), dei quali è stata messa in dubbio la scientificità: "Tutti gli esperimenti erano stati compiuti su animali ovariectomizzati", cioè correndo il rischio che i risultati ottenuti fossero validi solo per questa ristretta categoria. Concludono dunque gli autori dell'articolo: "Sarebbe inappropriato fare affermazioni generali sull'utilità della sperimentazione animale in base solamente a sei oggetti d'indagine. Gli studi su animali sono spesso condotti per scoprire meccanismi biologici e non possiamo esprimerci sul valore della ricerca in questi settori, né fornire valutazioni precise della concordanza".

CORCONDANZE QUASI "FORTUITE", VISTE LE TROPPE IMPRECISIONI

Resta tuttavia il fatto che la loro analisi suggerisce che, perfino quando la sperimentazione sull'uomo conferma gli effetti che un farmaco ha precedentemente prodotto sulle cavie da laboratorio, la concordanza sembra quasi fortuita, viste le imprecisioni riscontrate nella sperimentazione animale, che ne possono pregiudicare la predittività. Altri ricercatori mettono in dubbio che i risultati di questa ricerca siano così allarmanti e in grado di portare acqua al mulino degli animalisti come pare a prima vista. Robert Lechler, immunologo presso il King's College di Londra, citato da Jim Giles su Nature, sostiene che chi conduce le sperimentazioni cliniche sull'uomo è ben consapevole dei limiti dei corrispondenti modelli animali, e un confronto immediato tra le due sfere impedisce di cogliere all'opera questo "filtro intelligente" che le separa.

LO STUDIO NON VUOLE ESSERE UNA POLEMICA CONTRO LA SPERIMENTAZIONE SUGLI ANIMALI

Ma Peter Sandercock, neurologo dell'università di Edimburgo tra gli autori dello studio, ribatte che quest'ultimo dimostra che bisogna fare di più soprattutto su questo fronte, perché se un filtro del genere fosse realmente applicato, i modelli animali del trauma cranico sarebbe stati ripetuti in modo più accurato prima che cominciassero gli studi sull'uomo. "Questa non è una polemica contro la sperimentazione animale", conclude Sandercock, "ma dobbiamo essere coscienti che ci sono distorsioni nei modelli animali". Le due priorità sono la maggiore accuratezza della sperimentazione animale e la consapevolezza delle distorsioni di pubblicazione, ovvero la pericolosa fretta di giungere a presentare nuovi, "miracolosi" farmaci da parte di scienziati e aziende farmaceutiche, ignorando quanto in laboratorio può smorzare i loro entusiasmi.

Roberto Verrastro
Fonte: www.panorama.it
Link: http://www.panorama.it/scienze/animali/articolo/ix1-A020001039479
3.01.07

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