
Prima gli sparò mirando alla spalla, in grado che non fosse più in grado di correre via.L’elefante camminoò zoppicando fino a un albero e si appoggiò a esso.
Avendo deciso di osservare l’elefante prima di ucciderlo, Cummings fece una pausa per prendere il caffè e poi decise di determinare sperimentalmente quali fossero i punti vulnerabili di un elefante.
Si diresse verso l’elefante e gli sparò colpi in varie parti della testa. L’elefante non si mosse, limitandosi a toccare con la punta della proboscide le ferite prodotte dalle pallottole. “ Sorpreso e traumatizzato nel rendermi conto che stavo solo torturando quella nobile bestia, la quale sopportava quella dura prova con composta dignità”, scrisse Cummings, decise di finirla e gli sparò nove colpi dietro la spalla.
“Copiose lacrime sgorgarono ora dagli occhi dell’elefante, che si aprivano e chiudevano lentamente; il suo corpo immane tremò in modo convulso e, cadendo su un fianco, egli spirò.”
Quest’elefante dovette però soffrire molto, e queste sofferenze fisiche dovettero bastare da sole a fargli versare lacrime.
Diversamente dall’uomo, nessun animale fa esperimenti torturando altri animali.
Jeffrey Moussaieff Masson
“Quando gli elefanti piangono”
Baldini & Castoldi 1996
Pag.175
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